City of Demons (Città dei Demoni)

Shadowhunters

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  1. •Himeno•
     
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    *___________________________* Già lo amo questo Will dei giorni nostri <3 Pensa che è proprio il nome che volevo per il figlio di Jace e Clary. Ci sta proprio bene.
     
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    Infatti, ma ne combinerà di tutti i colori, poveri genitori...
     
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    Com il Will dell'800? XD o peggio?
     
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    Forse anche peggio...
     
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  5. •Himeno•
     
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    Azz! Allora mi piacerà ancora di più U__U Will 1 non era di certo un santo, il 2 sarà anche un donnaiolo?
     
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    Questo ancora non lo so, ma di certo combinerà un bel casino ai suoi genitori... Nel prossimo capitolo ci saranno il nostro Alec orsotto-potto e Magnus con la sua mania dei neonati...
     
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    In una torre d'avorio


    -Magnus Bane, se non posi immediatamente quel catalogo giuro che torno a stare all'Istituto e non mi vedrai mai più.
    Alexander Lightwood incrociò le braccia al petto, aspettando che la sua ben poco convinta minaccia sortisse qualche effetto; il suo compagno alzò gli occhi, concedendogli il lusso di uno sguardo quasi attento, poi tornò a dedicarsi alla rivista sui neonati.
    -Sei eccessivo, Alec- commentò. -Che male c'è se faccio dei regali alla tua nipotina? Non sarai geloso di lei, spero: credevo che questa fase l'avessimo superata anni fa.
    Lo Shadowhunter si passò una mano tra i capelli, sospirando: perché doveva fargli continuamente lo stesso discorso? Non si trattava affatto di gelosia, dei regali o di altro: si trattava di Magnus e della sua posizione che, negli ultimi tempi, si era fatta piuttosto precaria. Non c'era bisogno che la rendesse ancora più vacillante senza ragione.
    In passato la loro relazione non aveva attirato le simpatie di nessuno, anzi: i Figli di Lilith avevano guardato con sospetto l'Alto Stregone di Brooklyn e la sua decisione di frequentare un nemico. Perché per quanti Accordi potessero firmare Nascosti e Cacciatori, per quante generazioni potessero succedersi sui seggi del Consiglio, le vecchie abitudini non morivano mai e i due schieramenti erano e restavano nemici naturali con cui allearsi solo in caso di estrema necessità. Come la fine del mondo, ad esempio.
    Poi le acque si erano calmate e per alcuni anni nessuno si era interessato particolarmente a loro; ma si era trattata della quiete prima della tempesta, anche se quello che li aveva investiti aveva le proporzioni di un disastro naturale. Diventando mortale, anche Magnus subiva l'incessante scorrere del tempo e qualcuno iniziava a mormorare che non fosse più in grado di ricoprire la sua carica.
    -Se continui così, penseranno tutti che stai comprando i voti dei Cacciatori per le prossime elezioni.
    -Io non ho bisogno di mendicare voti: sono abbastanza carismatico e affascinante da sapere già di vincere.
    -I Nascosti ti voteranno contro, sempre che si limitino a questo.
    -Peggio per loro: si vede che meritano d'essere rappresentati dalla feccia- ribatté l'altro. -E poi non è certo questo il mio pensiero principale, anzi non è neppure tra i miei pensieri- precisò, perdendo l'aria ironica di poco prima. -Dovrebbe essere lo stesso per te.
    Alec incassò il colpo, lasciandosi cadere sul divano di pelle nera che ultimamente arredava il salotto: sapeva benissimo a cosa si riferiva, ma non era sicuro che fosse un argomento più sereno rispetto alle imminenti elezioni. Tra un catalogo dell'infanzia e l'altro, infatti, c'erano libri poco rassicuranti sui demoni: le loro pagine oscure incutevano timore e in alcuni parevano rinchiuse creature che il Cacciatore avrebbe preferito non incontrare.
    Erano mesi, se non anni, che doveva parlarne con Jace, ma continuava a rimandare: quando la nascita di Will aveva creato dei pericoli per Clary, il suo parabatai gli aveva confidato di non volere altri figli se questo significava rischiare la vita della moglie. Alec si era sentito sollevato: aveva accantonato e dimenticato il discorso che avrebbe dovuto fargli e aveva guardato William crescere forte e sano.
    Ma gli uomini non hanno voce in capitolo quando si tratta di certi argomenti e Clary si era impuntata finché non aveva ottenuto ciò che voleva: un altro bambino.
    Ed ora Magnus gli lanciava occhiatacce ogni volta che tornava a casa senza aver parlato con Jace.
    -Ti ucciderà, lo sai vero? Se ne fregherà di tutti i giuramenti fatti all'Angelo e ti ucciderà- affermò lo stregone, rialzando gli occhi truccati con l'eye-liner.
    -Lo so, ma potremmo anche essere fortunati com'è accaduto con Will. In fondo, quante probabilità ci sono? L'1%, il 10%... ?
    -Basta anche lo 0,01% perché esista la possibilità. E loro lo dovrebbero sapere, anche se tu temporeggi come una verginella alla sua prima notte di nozze.
    -Ma come faccio a dirglielo?
    -È facile: prendi il telefono e componi il numero. Quando ti risponde, dici: “Ciao, Jace, sono Alec. Devo parlarti di una cosa di importanza vitale. E no, non si tratta dell'ultimo paio di pantaloni che si è comprato Magnus, anche se dovrebbe essere messo sulla copertina di Playboy.”
    Lo Shadowhunter si coprì la faccia con le mani, pregando Raziel e tutti gli angeli perché vegliassero su di lui e sulla sua nipotina.

    I pugnali si conficcavano a fondo nel bersaglio, lanciati dalla mano di un'infuriata Catherine: lei non era la persona che descriveva William, non era affatto spregevole o crudele. Solo perché non faceva la stupida come quel buffone, non significava che fosse cattiva.
    -Cretino- mormorò, continuando a lanciare finché il bersaglio non si ruppe a metà.
    -Io sono innocente qualsiasi sia l'accusa- disse Ron, entrando nella sala con le mani alzate in segno di resa. -Soprattutto se tu hai in mano un coltello.
    -Non sei tu quello che vorrei usare come bersaglio.
    -Ti ricordo che Will è il mio parabatai.
    -E io ti rinnovo le mie condoglianze.
    Il ragazzo scosse la testa con un mezzo sorriso, iniziando ad estrarre i pugnali: quei due non sarebbero mai riusciti ad andare d'accordo, erano totalmente incompatibili. Fossero state due cavie da laboratorio chiuse nella stessa gabbia, si sarebbero di certo uccisi a vicenda.
    William a volte era eccessivo, fin troppo burlone ed ironico, mentre altre feriva sapendo di far del male: non era sempre semplice stare con lui parecchie ore al giorno, ma Ron gli avrebbe affidato la sua vita ad occhi chiusi.
    Si erano conosciuti per caso ad una festa ad Alicante, dieci anni prima, ed erano diventati subito amici al punto che, poco dopo, si era trasferito nell'Istituto di New York senza alcun ripensamento: i suoi genitori in quel periodo si stavano separando ed aveva accettato con gioia l'offerta di cambiare ambiente e vivere con la famiglia del suo compagno.
    -Secondo me, l'Angelo ti mette una mano sulla testa ogni volta che stai con William, altrimenti non riusciresti a sopportarlo per più di dieci minuti.
    -Forse- rise il coetaneo, porgendole le armi.
    Cat alzò la testa per poterlo guardare in faccia: Ronald, anche se tutti lo chiamavano Ron, sovrastava sia lei che Will di parecchi centimetri; aveva un corpo massiccio con muscoli perfettamente scolpiti che la maglia che indossava non riusciva a nascondere. Ma, a dispetto del fisico imponente, aveva un animo gentile, portato alla risata e al buonumore.
    -Grazie.
    -Non prendertela per ogni cosa che dice Will: dovresti sapere com'è fatto. Non sempre la sua lingua e il suo cervello lavorano al meglio.
    -Dubito che il suo cervello possa lavorare dato che non ne ha uno.
    -Può darsi, ma in battaglia non vorrei al fianco nessun altro.
    -Battaglia... l'ultima volta in cui sono stata in una situazione che potesse definirsi “battaglia”, dovevo mettermi le ciglia finte- ribatté, rimettendo i pugnali al loro posto. -Dopo la guerra di vent'anni fa, non ci sono più state grandi minacce da affrontare.
    -Per fortuna: significa che il mondo finalmente è un posto un po' migliore. Era questo il desiderio di Jonathan Shadowhunter, no?
    -Immagino di sì- rispose, fissando gli occhi scuri dell'amico velati da un ciuffo di capelli castani.
    -Ma se avesse saputo che noia abissale è un mondo in pace, si sarebbe dato al giardinaggio invece che diventare Cacciatore.
    La voce pungente di William fece sussultare Catherin che non l'aveva sentito arrivare, un comportamento che il ragazzo non mancò di notare: sulle sue labbra si dipinse un sorrisetto malizioso.
    -Ho forse interrotto qualcosa?
    -Stavamo solo parlando.
    -Sì, vi ho sentiti. E non sarei così convinto che le battaglie appartengano al passato: il corpo di mio zio non fu mai ritrovato, dopotutto, proprio come la prima volta.
    -Ci fu un grande incendio durante il combattimento e moltissimi corpi finirono carbonizzati- intervenne la giovane. -Sebastian poteva essere tra quelli.
    -È l'ipotesi più probabile- convenne Ron. -Se si fosse salvato, sarebbe già riapparso da tempo.
    -Lo penso anch'io, ragazzi, non fraintendetemi. È solo che rifugiarsi in certe vecchie storie è l'unico modo per sperare in un po' di azione. Queste armi stanno facendo la muffa: a parte un Nascosto ribelle ogni tanto e un demone una volta l'anno, non succede mai nulla.
    Ronald guardò oltre le spalle del suo parabatai, verso il corridoio e la figura che era appena passata, sperando che quelle non fossero le fatidiche ultime parole famose. William si voltò in tempo per scorgere suo padre in tenuta da Consiglio che si avviava all'ascensore. Quella tunica nera gli faceva sempre uno strano effetto e non solo perché significava sempre guai: dava al genitore un aspetto diverso, quasi fosse un'altra persona.
    Nei suoi ricordi Jace indossava la divisa da Shadowhunter quando andava in missione, mentre quando restava all'Istituto portava un paio di jeans e delle camicie chiare attraverso cui si intravedevano i segni neri dei marchi.
    Quell'abbigliamento insolito lo inquietava.
    -Papà- lo chiamò, raggiungendolo in poche falcate. -Dove stai andando?
    -Di certo non ad una festa.
    -Ci sono dei problemi?- insistette, ignorando la sua risposta. Non aveva voglia di scherzare in quel momento.
    -Niente di cui tu debba preoccuparti, Will. Vado a portare un po' del mio fascino ad Idris, ma starò attento alle folle di donne in adorazione- rispose allegramente. -Stai vicino a tua madre mentre sono via e chiamami immediatamente se succede qualcosa.
    -Lo farò- promise. -Tu... stai attento.
    -Non corro pericoli ad Alicante, tranne quello di morire di noia.
    William si lasciò scompigliare i capelli in un gesto di saluto, poi guardò suo padre svanire dietro le porte: si sentiva addosso un'ansia che non riusciva a spiegarsi. Se avesse potuto, lo avrebbe fermato, avrebbe cercato di dissuaderlo dal partire. Ma non poteva: il Conclave non aveva in simpatia l'Istituto di New York che in passato si era reso troppe volte colpevole di gravi mancanze e violazioni della Legge. Il fatto che ora fosse in mano al figlio, seppur adottivo, di Valentine, non aveva contribuito a migliorare la situazione.
    -Ehi, tutto bene, Will?
    Il ragazzo mosse la testa in un no; dietro di lui Ron e Cat si scambiarono uno sguardo allarmato: sapevano gestire un William ironico, sarcastico o arrogante, ma quando assumeva quell'espressione distante non avevano idea di cosa fare. Sembrava chiudersi in una torre d'avorio di cui non possedevano la chiave, una torre in cui esistevano solo lui e i suoi pensieri.
    -Sta soltanto andando a una riunione, William, non a combattere schiere di demoni. Se si stesse mettendo nei guai, avremmo sentito urlare tua madre anche a chilometri di distanza- tentò Catherine, posandogli una mano sulla spalla. -E poi, non si vanta sempre d'essere il miglior Shadowhunter mai esistito?
    -Sì...
    Ma anche il migliore poteva cadere. Malgrado il sangue d'angelo, erano mortali e bastava un attimo perché la loro vita terminasse. I pericoli facevano parte dell'essere un Cacciatore e loro affrontavano la morte a testa alta, con un sorriso sulle labbra e una spada in mano. Will lo sapeva perfettamente, era la strada che lui stesso aveva scelto di seguire per quanto dura e cosparsa di rischi; ma quando erano i suoi genitori a indossare la divisa, la situazione cambiava e il ragazzo si sentiva tremare.
    Era la sua unica e più grande paura: non vederli tornare da una missione.
    -Dobbiamo scoprire cosa sta accadendo. Chi viene con me ad Alicante?
    -Ci cacceremo nei guai come sempre- obbiettò Ron. -E poi hai promesso di restare con Clary.
    -Chiamerò il nonno: gli farà piacere prendere il posto di mio padre- ribatté, prendendo lo stilo. -Allora, siete con me?
    -Sono già stata bandita dalla città: non può succedermi di peggio.
    -Non abbiamo ancora combinato il nostro casino settimanale e ne sento la mancanza.
    -Muoviamoci.

    Edited by redeagle86 - 2/4/2013, 20:12
     
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    Appena la porta si era chiusa alle spalle di suo marito, Clary aveva reclinato la testa all'indietro e fissato il soffitto: il motivo per cui era stato convocato era talmente serio che lei non aveva nemmeno dovuto insistere per convincerlo a partire per Idris.
    Gliel'aveva detto quella notte a letto, anche se la moglie aveva già intuito che qualcosa lo turbava: lo aveva sentito nel suono della sua risata mentre scherzava con i ragazzi, nel modo in cui l'aveva stretta poco dopo e le aveva cercato la mano per intrecciare le dita con le sue.

    -Domani vado ad Alicante. C'è una riunione del Consiglio- sussurrò alle sue spalle, coperto dal buio della notte.
    -Sta succedendo qualcosa, vero?- gli chiese senza voltarsi.
    Jace esitò un attimo, indeciso: non voleva farla preoccupare, ma era una Cacciatrice, come lui, e c'erano cose da cui non poteva proteggerla semplicemente non parlandone.
    -Sì. Il cadavere che hanno trovato Ron e Will non è un caso isolato. È un fatto che ultimamente si sta ripetendo spesso in tutto il mondo: mondani uccisi in modo inspiegabile da qualche forza demoniaca che non conosciamo. E il Conclave si è deciso a prendere dei provvedimenti.
    -Di che genere?
    Clary non aveva un buon rapporto con il Conclave e il sentimento era reciproco: non capiva buona parte delle decisioni che prendeva e, generalmente, era in totale disaccordo con ogni cosa uscisse dalle sue stanze.
    -Riunisce il Consiglio, tutti discutono e urlano, poi si torna a casa e si continuano a trovare mondani morti. Lo sai come vanno queste cose- rispose con tono ironico. -La loro priorità è il ventesimo anniversario della sconfitta di Sebastian, non certo una catena di delitti.
    La donna emise un lieve brontolio, agitandosi nell'abbraccio di Jace.
    -Ci pensi ancora... - affermò, baciandola tra i capelli rossi. Non glielo stava chiedendo, perché sapeva già la risposta: conosceva le ombre della compagna almeno quanto le sue. -Hai fatto la cosa giusta e io sono fiero di te. Mi basta guardare ciò che ho adesso perché ogni dubbio svanisca.
    -Lo so ma... a volte penso che lui non sia morto, che sia da qualche parte e progetti di tornare per vendicarsi. Io e lui, dopotutto, siamo simili: lo ripeteva spesso. E aveva ragione.
    -Clary, Sebastian non esiste più e il suo corpo è stato carbonizzato dall'incendio. Non tornerà e io non sono così stupido da riportarlo in vita una seconda volta. Inoltre tu non gli somigli affatto, altrimenti non ti amerei così tanto.


    Guardò per l'ennesima volta il calendario: mancava davvero poco a quella data fatidica, troppo poco per chi come lei tremava al semplice accenno.
    Ogni volta che quel ricordo tornava a galla, Clary riviveva quella notte e le sue mani tornavano calde ed umide del sangue di suo fratello.
    Il suo stesso sangue.
    I primi giorni dopo la fine della battaglia, la morte di Sebastian era un incubo ricorrente che le levava il sonno: né Jace, né Simon, né un incantesimo di Magnus riuscivano a scacciare quell'immagine dalla sua mente e a concederle un riposo ininterrotto.
    Poi pian piano si era attenuato tutto, come una ferita che lentamente si cicatrizzava e non lasciava alcun segno sul corpo. Ma dentro il cuore i segni c'erano ancora: aveva avuto paura il giorno delle sue nozze con Jace; aveva avuto paura quando era nato William e aveva paura ad ogni anniversario. Paura che lui ricomparisse, paura di rivedere quegli occhi neri, quei capelli di neve e ghiaccio, quel volto troppo simile a quello di Valentine. E al suo.
    Fu un delicato rumore alla porta a distoglierla da quelle riflessioni.
    -Avanti- disse, regalando un sorriso radioso al suo patrigno. -Luke, ciao! Non dirmi che è stato Jace a chiederti di venire a controllarmi.
    -No, veramente è stato tuo figlio- spiegò. -Non voleva che restassi qui da sola, così eccomi qui.
    -Sono contenta che tu sia venuto. Tutto bene a casa?
    -Sì- rispose, indugiando un attimo prima di proseguire. -A lei... dispiace questa situazione.
    Il sorriso scomparve dalle labbra della donna, sostituito da un'espressione dura.
    -Doveva pensarci prima di crearla.
    -Voleva solo proteggerti.
    -Controllando che William non fosse nato come Jonathan?!- esclamò, dandogli un'occhiata di fuoco. -Ai suoi occhi Jace sarà sempre il figlio di Valentine, sarà sempre come mio padre. Ed io sarò sempre una stupida che commette i suoi stessi errori.
    Luke rimase in silenzio, posandole una mano sulla sua con uno sguardo colmo di tristezza e comprensione: aveva rimproverato spesso Jocelyn per il suo atteggiamento, l'aveva avvertita che stava rischiando d'essere odiata da Clary, ma era stato inutile ed ora sua moglie ne pagava le conseguenze.
    Quello sciocco accanimento nei confronti di un ragazzo che non aveva altre colpe se non quella d'essere stato una cavia in mano a Valentine... il lupo mannaro non l'aveva mai capito. Jace amava Clary molto più della sua vita, lo aveva dimostrato più di una volta e continuava a farlo: cos'altro poteva desiderare un genitore per la propria figlia?
    -Allora, avete deciso il nome per questa piccolina?
    Clarissa si rilassò, ringraziandolo per aver cambiato argomento: sua madre era un capitolo chiuso, soffocato sotto troppe cose che non poteva perdonarle.
    Credeva di poter superare il fatto che le avesse tolto i ricordi e impedito di vivere la vita che le spettava; era riuscita a non soffrire troppo per la sua intolleranza verso Jace; ma quando aveva visto i suoi occhi scrutare William un centimetro alla volta in cerca di segni demoniaci, per Clary era stato come ricevere un pugno nello stomaco. Aveva stretto al seno il suo piccolo e le aveva chiesto di uscire dalla stanza e dalla sua vita.
    E in quel momento aveva compreso di non poterle perdonare niente. Nemmeno ciò che aveva fatto a Jonathan.
    Dopo essere diventata madre, quelle azioni e quei sentimenti che prima aveva giustificato, le apparvero in una luce diversa. Dopo aver messo al mondo Will, aver tenuto in braccio quella creaturina che era cresciuta in lei per nove mesi, non aveva potuto provare che orrore per il comportamento di Jocelyn.
    Anche se aveva una natura demoniaca, era pur sempre suo figlio, ma lei lo aveva rifiutato, rigettandolo come se fosse immondizia, lasciandolo in balia della crudeltà di Valentine.
    Essere così non significava essere madri, ma vigliacchi.
    Essere così significava essere peggio di Valentine: lui aveva forgiato il carattere di Jonathan con la frusta, lei con l'odio.
    -Sì, abbiamo deciso. Dopo una lunga consultazione di alberi genealogici e archivi, abbiamo finalmente deciso.
    -Bene, ma non dirmelo: voglio che sia una sorpresa. Però dillo a Magnus, così comincerà a ricamare le iniziali su tutto quello che le ha regalato.
    -Non so cosa gli prenda: con Will si era fermato a un centinaio di cose, mente con lei non ha limiti: l'Istituto non può contenere altri doni- replicò, guardando le pile che suo marito aveva ormai rinunciato a sistemare.
    -Sarà l'età- ribatté Luke. -Ma dov'è Jace? Non l'avrai chiuso in uno stanzino.
    -No, è ad Alicante. Riunione del Consiglio.
    -Da quando non faccio più parte dl Conclave, non sono aggiornato su quello che accade.
    -Non ti perdi molto. Le cose non sono cambiate: si combatte, si salva il mondo, pensi di meritarti un attimo di pace e invece il mondo si caccia di nuovo nei guai- affermò la donna. -È come badare a Will e a Jace, insomma.
    -Non faccio fatica a crederci.
    -Immagino che nemmeno tu andrai alla festa- continuò. Luke annuì: non si festeggiava un figlio morto, per quanto malvagio potesse essere e lui rispettava la volontà della moglie. -Jace è convinto che sia in cima alle priorità del Conclave e temeva che la riunione fosse per decidere quali tovaglie si abbinassero meglio alle tende o quale dovesse essere il colore d'obbligo per abiti degli invitati.
    -È una festa del Conclave, non a casa di Magnus Bane. Non penso che qualcuno noterà la biancheria.

    Jace alzò gli occhi al cielo terso di Alicante, facendosi schermo con la mano: era da tempo che non vi metteva piede, ma la città degli Shadowhunter era immutabile ed eterna. Né le guerre, né il tempo, né la natura potevano intaccarne l'aspetto antico e solenne, intervallato dalle alte torri antidemoni che si innalzavano verso l'alto come lunghissimi aghi.
    -E tu pensi che William ti ubbidirà?
    Il Cacciatore allungò le gambe e portò indietro la schiena facendo leva sulle mani: seduti sulla scalinata che portava alla Sala degli Accordi, lui ed Alec attendevano pazienti l'inizio della riunione.
    -Se mi somiglia come temo, avrà già aperto un Portale per Idris e tra poco sarà in un mare di guai.
    -Come facevi tu alla sua età.
    -È sangue del mio sangue in fondo- ribatté con un sorriso fiero.
    Alla parola “sangue” il suo parabatai si irrigidì: improvvisamente i gradini erano diventati irti di chiodi e freddi come il ghiaccio. Doveva approfittare di quel momento, ma come? Come entrare nell'argomento... e uscirne vivo?
    Ricordò il loro giuramento, la runa che li legava e di colpo tutto apparve troppo flebile di fronte al segreto che serbava nel cuore.
    -Che fine ha fatto Magnus?- domandò Jace, ignaro dei pensieri dell'altro. -Ha forse dimenticato come si arriva qui?
    -Certo che no. Gli si è avvicinata una ragazza e si è fermato a parlare con lei dicendo che mi avrebbe raggiunto.
    L'amico si voltò, sollevando un sopracciglio scettico e lo scrutò come se di colpo l'uomo accanto a lui si fosse trasformato in una creatura a due teste con sei o sette braccia.
    -Chi sei?
    -Cosa?- replicò. Sbatté le palpebre, confuso da quella domanda.
    -Di certo non sei Alec. Il vero Alexander Gideon Lightwood starebbe facendo fuoco e fiamme all'idea di Magnus che parla con qualcuno. Sarebbe qui con una faccia da funerale e il fumo che gli esce dalle orecchie, brontolando cose come...
    -Piantala, Jace, sono io. Ho smesso di essere geloso di ogni persona che gli va vicino. Dopo vent'anni e dop che ha rinunciato all'immortalità, non ho bisogno di altre prove del suo amore.
    -Credevo non sarei vissuto abbastanza da sentirtelo dire- commentò il diretto interessato, arrivando alle loro spalle.
    Le guance di Alec si colorarono di rosso, come quand'era ragazzo; si girò con l'intenzione di replicare, ma si bloccò: malgrado il sorriso che incurvava le sue labbra, gli occhi dello stregone non erano affatto allegri. C'era un'ombra scura nello sguardo felino, un chiaro turbamento che non aveva prima di incontrare quella ragazza dai lunghi capelli castani.
    -Va tutto bene?
    -Sì... o forse no. Ma non è questo il momento per parlarne.
    -Ehi, so quando la mia presenza, per quanto incredibile ed illuminante, è di troppo- esclamò Jace, alzandosi e spazzolando la tunica nera con una mano.
    -Io non mi riferivo a te- si corresse Magnus. -La riunione sta iniziando e sarebbe un peccato perdersela per stare qui a discutere: potremmo non sapere mai che colore va di moda adesso ad Alicante. Non sopporterei di arrivare alla festa con l'abito sbagliato.
    I due Shadohunters si guardarono rassegnati e, con un sospiro, iniziarono a salire i gradini.
    -Speriamo non sia il rosa: non credo mi doni molto- affermò Jace.
    -Puoi sempre attingere al mio armadio- propose lo stregone che, quando si parlava di abiti sgargianti e appariscenti, era un maestro indiscusso. E una fonte inesauribile di vestiti. -E ovviamente anche tu, fiorellino.
    -Lo stesso stilista per tutti e tre, insomma.
    -Certo, il migliore.
     
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    Alicante dalle torri di vetro


    William guardava incuriosito tutto ciò che lo circondava: al contrario dei due amici, lui non si recava spesso ad Idris e ai suoi occhi erano tutte cose nuove. Il suo parabatai e Catherine erano nati e cresciuti lì e le loro famiglie vivevano ancora ad Alicante, mentre l'ultima volta che il giovane era stato lì risaliva a dieci anni prima, alla festa dell'anniversario dove aveva conosciuto Ron; da allora non era più tornato nella terra dei Cacciatori.
    Non puoi dire di aver visto una città finché non hai visto Alicante dalle torri di vetro.
    Sua madre lo aveva scritto a margine di un disegno che rappresentava la città, appeso nella biblioteca dell'Istituto. Ed era vero: quel paesaggio non somigliava a niente che avesse visto prima.
    Lui poteva ammirare la città di New York da prospettive che i mondani non avrebbero mai scoperto, come il lato di Central Park riservato agli Shadowhunters o attraverso i vetri magici della Corte Seelie.
    Ma non era nulla in confronto ad Alicante.
    Pareva uscita da un'altra epoca o dalle pagine di uno dei libri di favole che gli leggevano da bambino: non si sarebbe stupito se gli fosse passato davanti un principe a cavallo di un unicorno o se un drago gli fosse volato sopra la testa. Lì sembrava che tutto potesse accadere.
    Soprattutto l'impossibile.
    Si diceva che per ogni Cacciatore, Alicante fosse un luogo familiare, una parte ritrovata di sé, la tessera mancante di un puzzle; Alicante era casa, sia per chi viveva lì, sia per chi vi entrava per la prima volta.
    -Will, non siamo qui per fare i turisti- lo rimproverò Cat. -È meglio se ci sbrighiamo prima che qualcuno ci noti.
    Il ragazzo annuì a malincuore, rimandando l'esplorazione e seguendo l'amica che si muoveva sicura tra strade che a lui non dicevano nulla: New York era molto più semplice, forse perché ne conosceva ogni centimetro.
    -Da questa parte.
    Dopo la Guerra Morale e la firma degli Accordi, il Conclave non controllava più strettamente gli ingressi magici, ma le torri antidemoni impedivano comunque di aprire varchi all'interno della città. I tre ragazzi erano arrivati attraverso un Portale nei pressi di Alicante, poi erano entrati a passo svelto facendo attenzione ad evitare le strade principali ed abbassando velocemente le teste ogni volta che incrociavano qualcuno.
    -Non ci faranno mai entrare nella Sala degli Accordi, siamo minorenni- disse Ronald che, con le sue lunghe gambe, faticava a tenere l'andatura della compagna.
    -E se tramortissimo un Cacciatore e gli rubassimo la tonaca?
    -Will, lo so che è difficile, ma prova a ragionare: ci scoprirebbero nel giro di un secondo.
    -Zitti, sta arrivando qualcuno.
    I due si chiusero immediatamente nel silenzio, passando accanto a una ragazza vestita di bianco che camminava nella direzione opposta; William si girò a guardarla e sussultò nello scoprire che anche lei lo fissava con un misto di stupore e confusione. La stessa espressione che era certo di avere anche lui sul viso.
    -William- lo chiamò Catherine, afferrandogli una mano e trascinandoselo dietro. -Che ti è preso? Non hai mai visto una ragazza?
    -Non graziose come lei- ribatté, anche se non era quello il motivo per cui si era voltato. -Conosco solo maschiacci come te.
    -Se vuoi andare a chiederle di sposarti, fa pure. Io e Ron andiamo a scoprire cosa trama il Conclave e poi ce ne torniamo a casa.
    Il giovane assunse un'aria pensierosa, come se stesse valutando veramente l'affermazione della coetanea.
    -No, sono troppo giovane per sposarmi e troppo vecchio per essere abbandonato come una infante sulla porta di una chiesa- affermò. -Ma se non ci facciamo venire un'idea su come entrare, possiamo anche rinunciare.
    -Io ho appena avuto un'idea- intervenne il suo parabatai.

    La Sala degli Accordi era cambiata dopo la Guerra Mortale: conservava ancora le sue pareti bianche e oro, ma era stata adattata per essere il luogo ufficiale delle riunioni del Conclave.
    Al centro, dove un tempo c'era stata una fontana con una sirena, era stato costruito un piccolo palco circolare leggermente rialzato, dove prendeva posto il Console; tutt'intorno c'erano file di panche concentriche interrotte solo da corridoi d'accesso che le dividevano in quattro spicchi.
    Ma era ancora il salone usato per le feste: in quelle occasioni, il pavimento veniva abbassato e, attraverso una serie di incantesimi attuati dagli stregoni, appariva un secondo pavimento composto di piccole piastrelle disposte a formare il simbolo del Coclave disegnato da Clary dopo la firma degli Accordi. Lo stesso motivo era ripreso nella disposizione delle panche e nel grande vetro che si trovava sul soffitto.
    Jace venne raggiunto dai genitori di Catherine e da quelli di Ron e si trattenne a parlare con loro mente Magnus ed Alec si accomodavano.
    -È successo qualcosa con quella ragazza?
    -Niente di grave, Alec. Sul serio.
    -Non voglio impicciarmi dei tuoi affari, ma sembravi un po' scosso.
    -Ne parliamo quando torniamo a casa, promesso.
    Il Cacciatore sospirò, sentendosi trattato come un bambino che faceva i capricci davanti a un giocattolo: era solo preoccupato, possibile che non lo capisse?
    -Alec- lo chiamò, posandogli una mano sulla gamba. -Non è davvero nulla, non dvi preoccuparti. E no, non riguarda le elezioni. Diciamo che è una cosa... personale.
    -Personale?
    -Sì, ma non nel senso che intendi tu.
    Gli alti tacchi del Console risuonarono nella grande sala, anticipando il suo arrivo: tutti si accomodarono nelle panche mentre Isabelle Lightwood faceva il suo ingresso. Percorse con passo deciso il corridoio, collocandosi al suo posto e rivolgendo un rapido sguardo ai fratelli prima di iniziare.
    -Benvenuti a tutti. Ci troviamo qui oggi per discutere una questione molto seria che riguarda tutti noi: ogni notte, mondani di tutto il mondo vengono uccisi da forse oscure che non riusciamo ad identificare e comprendere- spiegò la donna.-I Cacciatori pattugliano costantemente le zone assegnate loro, eppure non c'è modo di mettere fine a questa strage.
    -Forse semplicemente non fate bene il vostro lavoro- intervenne una fata con un sorriso mellifluo.
    -O magari è il Popolo Fatato a nascondere qualcosa- replicò Raphael dalla parte opposta. -Sappiamo tutti che siete sempre pronti a cambiare bandiera a seconda di come tira il vento.
    -Perché tu sei un esempio di fedeltà e fiducia, vero succhiasangue?- continuò il rappresentante dei lupi mannari.
    Isabelle strinse una mano a pugno, esasperata: non era questo che si era aspettata quando aveva accettato la carica di Console. Da ragazza aveva infranto spesso le leggi assurde del Conclave, aveva subito la sua opprimente ed antiquata presenza; da Console sperava di poter cambiare le cose, di rinnovare preconcetti superati ed essere vicina ai problemi reali. Ma non era andata così.
    Prima di organizzare quella riunione, ad esempio, aveva dovuto aspettare che i cadaveri raggiungessero un numero inimmaginabile: solo a quel punto anche gli altri si erano convinti che fosse il caso di intervenire.
    -Basta!- urlò. -Nessuno è qui per lanciare accuse! Vi abbiamo convocati perché serve l'aiuto di tutti per risolvere quest'emergenza: non ho bisogno di ricordarvi cosa accadrebbe se i mondani scoprissero il nostro mondo, no?- proseguì, respirando profondamente per recuperare la calma. -Bene, allora inizieremo analizzando alcuni dei rapporti più dettagliati, sperando di trovare qualcosa che ci aiuti nelle indagini. Poi decideremo come procedere e dividere i compiti.

    -Ron, non è un'idea: è una follia- fu il commento secco di Catherine dopo aver sentito la proposta dell'amico.
    -Io la trovo fantastica, invece.
    -Non avevo dubbi, Will: tu non sei una persona ragionevole, ma qualsiasi idiota saprebbe che questa è una follia e non possiamo farlo!
    -Allora trova un altro sistema, visto che improvvisamente sei diventata il genio del trio.
    -Bhe... - tentennò, presa alla sprovvista. -Lasciatemi il tempo di pensarci...
    -Non abbiamo tempo, quindi si segue l'idea di Ron.
    William Herondale svanì in mezzo alle fronde di un alto albero che cresceva accanto alla Sala degli Accordi, imitato dal suo parabatai.
    -Ci toglieranno i marchi e diventeremo dei mondani, me lo sento- brontolò ancora la ragazza, arrampicandosi. -Oppure passeremo la vita nella Città Silente... o mi costringeranno a diventare una Sorella di Ferro.
    -Una Sorella del Silenzio è impossibile, dato che non stai mai zitta- ribatté Will, saltando agilmente sul tetto senza fare il minimo rumore. -E ormai è tardi per tornare indietro.
    Sopra alla Sala degli Accordi era stata realizzata una grande vetrata circolare, progettata a modello delle vetrate gotiche; era divisa in quattro spicchi che raffiguravano i simboli delle razze di Nascosti che sedevano nel Conclave e, a separarli, c'era una croce composta da piccoli frammenti di vetro uniti insieme da un sottile filo di adamas. Ogni pezzetto apparteneva alla precedente Città di Vetro, danneggiata durante la Guerra Mortale, e vi erano disegnate tutte le rune del Libro Grigio.
    Nelle calde giornate soleggiate, gli spicchi venivano sollevati come ante di una gigantesca finestra e quella era proprio una mattina di sole: i tre ragazzi si avvicinarono al vetro, sporgendosi sull'apertura per poter vedere cosa accadesse di sotto.
    Riconobbero subito la chioma nera di Isabelle ed i suoi gesti nervosi segno che, come al solito, la riunione stava diventando una gara di insulti tra Cacciatori e Nascosti.
    Will individuò il luccichio dei glitter che Magnus insisteva per mettersi sui capelli nonostante l'età; accanto a lui c'erano suo zio e, soprattutto, suo padre pronto ad ucciderlo se avesse scoperto dove si trovava.
    -Sbaglio o stanno parlando di mondani morti?- disse Ron. -Come quello che abbiamo trovato ieri sera.
    Era una delle cose che il suo compagno di battaglia proprio non riusciva a capire: perché erano abbastanza grandi da farsi ammazzare nelle perlustrazioni, da saper uccidere in duemila modi diversi, da combattere contro qualsiasi creatura si annidasse nei vicoli oscuri... ma erano troppo piccoli per entrare nel Consiglio? Perché in quella sala c'era gente che non impugnava un'arma da almeno mezzo secolo, e non c'era chi lottava ogni giorno e vedeva con i suoi occhi ciò di cui stavano parlando?
    Non era giusto: erano loro a rischiare la vita, a proteggere gli ignari (ed inutili) mondani, eppure venivano esclusi dalla riunione, lasciati al parco giochi come bambini di cinque anni. Sua zia Isabelle aveva tentato di abbassare l'età d'accesso, ma si era scontrata con il muro delle tradizioni e aveva dovuto fare marcia indietro.
    Forse perché pensava alle ingiustizie del Conclave, forse perché il destino aveva scelto quel momento per muovere i suoi fili ed uscire allo scoperto... Qualunque fosse il motivo, il discendente dei migliori Shadowhunters mai esistiti perse l'equilibrio e si ritrovò a precipitare velocemente verso il basso, verso una morte decisamente dolorosa.
    Udì a malapena gli amici urlare il suo nome, poi il pavimento della Sala si avvicinò ad una velocità sorprendente... e lui si bloccò ad un soffio dall'impatto con il suolo.
    -William Gabriel Herondale.
    Sentendo Jace pronunciare il suo nome completo, William si chiese se schiantarsi nel mezzo della Sala degli Accordi non fosse una fine migliore di quella che lo aspettava.
     
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  12. •Himeno•
     
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    Un entrata in scena alla Indiana Jones senza frusta XD Cascato proprio in mezzo.
    Ci credo che era confuso William nel vedere quella ragazza vestita di bianco.
    non per niente Tessa è la sua bis bis bis bisnonna XD o sbaglio?
     
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    Infatti...anche Clary era rimasta un po' confusa quando la vede in Città di Vetro...
     
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  14. •Himeno•
     
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    Sì ma non è proprio la stessa cosa. Per Clary, Tessa può essere la "madrina" di battesimo se le ipotesi che girano sono vere ma per quanto riguarda William, lei è veramente suo parente e per giunta lui porta il nome del suo defunto marito. Mi verrebbe un colpo anche a me vedere una mia bisnonna così giovane e bella XD
     
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    Ma Clary forse ha visto qualcosa di Jace in lei...
     
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58 replies since 26/3/2013, 16:58   241 views
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