City of Demons (Città dei Demoni)

Shadowhunters

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  1. •Himeno•
     
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    Non credo che ci vedi molte cose di Jace in lei XD comunque credo che Tessa sia felice di vedere Clary e Jace insieme per un certo motivo.
     
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    Perchè così non deve sopportare un nipote in crisi depressive? XD
     
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    No XD è questione di "discendenza"
     
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    Bhe sì, in fondo Clary discende da Charlotte ed Henry...


    5
    Un mondo troppo grande e cattivo


    L'aveva riconosciuta nell'istante stesso in cui era apparsa in fondo alla strada. Avevano attraversato il tempo insieme, dopotutto, e condiviso troppe cose per dimenticare il suo viso. Eppure, quando aveva notato la rabbia contenuta nei suoi occhi grigi, aveva capito immediatamente che qualsiasi cosa ci fosse stata tra loro era ormai svanita.

    “-Le voci corrono, Magnus, ma per tutti questi anni ho creduto che sbagliassero.
    -Tessa... - mormorò, non sapendo come proseguire. Era il responsabile di quella furia trattenuta a stento dietro l'etichetta vittoriana: non c'era niente da dire, nessun paravento dietro cui nascondersi.
    -Invece era tutto vero. Ogni singola parola. Sei diventato mortale e potrai vivere ed invecchiare con la persona che ami- proseguì. -Per te non valgono le frasi che mi hai ripetuto? Quel “devi vivere perché è questo che loro vorrebbero”? Il tuo amore ha forse più diritti di quanti ne aveva il mio?!
    Aveva alzato man mano la voce e quelle ultime parole erano state urlate con ira e rancore. Lo stregone se ne sentì trafitto: lui era stato il suo appiglio nei momenti di sconforto, a lui aveva chiesto aiuto per ricucire sé stessa dopo che era andata in pezzi, da lui aveva trovato la forza per ricominciare una volta terminate le lacrime.
    -No- rispose soltanto, abbassando la testa. -Ma allora non avevo idea di dove si trovasse il Libro Bianco, né se al suo interno esistesse davvero un incantesimo del genere o fosse solo una leggenda. So che non è una giustificazione, ma...
    -Ma niente, Magnus. Io mi fidavo di te, sono riuscita ad andare avanti solo perché c'eri tu, perché tu eri rimasto lo stesso di allora. Invece mi hai soltanto ingannata.
    -Non ti ho mai impedito di seguirlo nella morte. Sai anche tu che essere immortali non significa non poter morire.
    -Davanti alla sua tomba mi hai detto di essere forte, che la prima volta era quella che faceva più male e che l'immortalità era costellata di addii. Hai tirato in ballo anche il destino: ero nata immortale perché il fato aveva qualcosa in serbo per me, hai detto- continuò, sperando che ogni sillaba potesse fargli male fisicamente. -E io ci ho creduto, come una vera stupida. Come una scema ho pensato che fossi mio amico, invece non ti è mai importato nulla di me. Non ti è mai nemmeno venuto in mente di accennarmi la possibilità che ci fosse un modo per essere mortali: in fondo, allora non c'era ancora il tuo Cacciatore, non c'era nessuno per cui valesse la pena invecchiare.
    -Tessa- tentò ancora, bloccandosi dopo aver pronunciato il suo nome, perché quelle accuse erano maledettamente vere e non poteva smentirle. Avrebbe potuto usare una risposta tagliente, ma non con lei: in quei lunghissimi anni, Tessa era davvero diventata un'amica preziosa, qualcuno che rivedeva sempre con piacere, con cui parlare di tante cose non solo del passato. La ragazza aveva una mente acuta e vivace, una curiosità che la spingeva ad avere molti interessi e per lo stregone era una compagnia a cui preferiva soltanto quella di Alec.
    Sapere di averla ferita, di averla persa, era un dolore immenso.
    -Ma ora ho aperto gli occhi e posso giurarti che rimpiangerai il giorno in cui hai perso l'immortalità. Te ne farò pentire amaramente, Magnus Bane- promise, passandogli accanto in un fruscio di tessuto bianco, lasciandolo più solo che mai.”

    Nel silenzio del salotto di casa, Magnus ripensava a quell'incontro. Dopo aver impedito a Will di sfracellarsi al suolo, aveva abbandonato Alicante mentre Alec e Jace gestivano le conseguenze di quel “fuori programma”. La riunione dopotutto era terminata e lui era comunque troppo distratto per prestare attenzione a quanto era stato detto nella Sala degli Accordi. Quindi se ne era andato alla prima occasione, rifugiandosi nella quiete del suo appartamento a confrontarsi con i propri sensi di colpa.
    Aveva immaginato spesso quel momento, il giorno in cui Tessa avrebbe scoperto che era diventato mortale: nei suoi ipotetici finali, lei capiva le sue inesistenti ragioni e gli augurava d'essere felice. Ma era decisamente un'utopia, una conclusione troppo semplice che non lo faceva sentire un verme.
    Theresa Gray non era affatto una sciocca: gli anni le avevano indurito il carattere e gli addii le avevano gelato il cuore. Al contrario di lui, che era svolazzato da un amante all'altro per più di 800 anni, lei aveva amato un solo uomo: il suo primo amore era stato anche l'unico e l'ultimo.
    Non aveva avuto bisogno di secoli per incontrare il grande amore, ma erano stati proprio gli anni e l'impossibilità di fermarli a portarglielo via.
    Magnus era un vigliacco: le aveva ripetuto di essere forte, ma quella stessa forza lui non la possedeva di fronte alla prospettiva di veder morire Alec. Sopravvivere a un dolore simile gli sembrava inconcepibile ed ora gli pareva crudele averlo chiesto a Tessa.
    Perché non le aveva permesso di raggiungere il suo amato?
    Forse aveva avuto bisogno di quella ragazza, di qualcuno con cui dividere i ricordi di Londra, qualcuno che, come lei stessa aveva affermato, fosse rimasto lo stesso di allora.
    Perché di quella nebbia inglese e di quella fosca quanto tormentata vicenda non gli rimanesse solo una fotografia sbiadita.
    Perché era e sarebbe rimasto un egoista.

    -Questa non la passi liscia, Will, puoi star certo. E lo stesso vale per voi: mio figlio è un incosciente, ma mi aspettavo un po' più di buonsenso da parte vostra.
    -Papà, ho avuto io l'idea: loro mi hanno solo seguito- intervenne William, deciso a tener fuori gli amici da quella storia. Era solo lui quello da punire: Ron e Cat non avevano alcuna colpa.
    -Will... - iniziò Ron.
    -E poi cosa abbiamo fatto di male? Siamo noi ad uscire in perlustrazione, dopotutto: era un nostro diritto sapere cosa sta accadendo. Non siamo più dei bambini da dover tenere all'oscuro di tutto.
    -William, tu hai ragione- ribatté Alec, più propenso a mantenere la discussione su un tono calmo e ragionevole. -Ma le leggi del Conclave...
    -Saprei io dove possono infilarsi le loro leggi della malora- brontolò, sedendosi con poca grazia su una panca ed incrociando le braccia. -E comunque perché ieri sera non ci hai detto niente?
    -Aspettavo di capire quanto fosse grave il problema prima di gridare al lupo.
    -Nessuno vi avrebbe tenuto all'oscuro, ragazzi. Non c'era bisogno di precipitarsi qui come se fosse la fine del mondo, Will... ma l'irruenza è un difetto di famiglia, vero Jace?
    L'interessato se ne stava seduto sul palco dl Console, sostenendo lo sguardo di suo figlio: gli somigliava troppo, anzi, somigliava troppo sia a lui che a Clary. Pareva un concentrato di tutti i loro difetti, come se avesse preso da loro solo il peggio. Ne aveva combinate tante da quando era nato, ma quella era la più grossa di tutte e, sinceramente, non aveva nemmeno idea di cosa sarebbe successo: contava sulla magnanimità di Isabelle, ma sapeva anche che non spettava a lei il verdetto finale.
    -Io potevo permettermi di esserlo- rispose. -Il Conclave mi ha sempre detestato. Voi siete troppo giovani e inesperti per farvi nemici tanto potenti.
    William aprì la bocca per replicare, ma la richiuse nel veder arrivare sua zia con una faccia che non prometteva niente di buono.
    -Jace, Alec... ragazzi- esordì.
    -Avanti, dicci subito la condanna così prepariamo i bagagli per la Città Silente.
    -Niente visita ai Fratelli per questa volta.
    -Allora cosa?- chiese Ronald, stupito. -Dobbiamo pulire tutte le strade di Alicante con uno spazzolino da denti?
    -No, non c'è nessuna punizione di questo tipo.
    -Nessuna punizione?- ripeté il nipote, basito di fronte all'insperata fortuna. -Zia, sei fantastica.
    -Will, non ho detto che non ci sono punizioni. Io ho fatto tutto il possibile, ma sapete anche voi che non ho molta voce in capitolo nelle decisioni.
    Jace fissò la donna con un certo nervosismo: la conversazione stava prendendo una piega che non gli piaceva per niente ed era pronto a passare sopra ad ogni stupido membro del Conclave pur di difendere il sangue del suo sangue.
    -Will... la tua punizione è la runa del dolore.
    -Cosa?!- esclamò Alec, balzando in piedi. -Izzy, sei impazzita? È solo un ragazzino e non ha fatto nulla di così grave! Quelli che dormivano durante la riunione allora, verranno decapitati?!
    -Alec, la maggioranza...
    I tre ragazzi erano letteralmente gelati e nessuno di loro riusciva anche solo a respirare: la runa del dolore era una punizione durissima inflitta ai Cacciatori che si macchiavano di crimini ben più gravi dell'intrusione nel Consiglio.
    -La maggioranza di chi, Isabelle?! Di vecchi imbecilli?!
    -Guarda che ci sono anch'io tra quei vecchi imbecilli!
    Jace si concesse un ghigno mentre si toglieva la tonaca nera: quella era un vendetta del Conclave contro di loro, era una sorta di "risarcimento" per tutte le volte che avevano agito senza informarlo, mettendolo in imbarazzo o in posizioni scomode.
    Ma quei "vecchi imbecilli" avevano fatto i conti senza di lui.
    -Bene- disse, bloccando il litigio tra i fratelli. -Ho passato di peggio.
    -Jace, non avrai...
    -Papà, no!- esclamò William, alzandosi. -Non devi farlo, sono io l'unico colpevole. Ho fatto una stronzata ed è giusto che paghi.
    -Sì, ma non è giusto che sia tu a pagare per ciò che non hai commesso- proseguì, levandosi anche la camicia e lasciandola al ragazzo. -È questione di pochi minuti. Alec, prendi lo stilo.
    -Non accetteranno questa soluzione- obbiettò Isabelle.
    -Che vadano a farsi fottere.
    Will si morse un labbro a sangue mentre suo zio posava lo stilo sulla schiena di Jace per iniziare a tracciare la runa: vedere suo padre prendere la punizione che spettava a lui faceva più male che riceverla sulla propria pelle.
    Lo guardò spalancare gli occhi una volta finito il marchio, poi sbiancare ed iniziare a sudare copiosamente, stringendo i pugni per non urlare.
    Quella runa era tra le più terribili del Libro Grigio: il dolore che causava, oltre a essere paragonabile a quello di centinaia di pugnali che rigiravano all'interno di altrettante ferite, non era solo fisico, ma anche mentale e psicologico. Era un dolore totale, una sofferenza che coinvolgeva ogni fibra, ogni centimetro, ogni neurone; un'esperienza che non si poteva descrivere in nessun modo se non vivendola.
    Durava pochi minuti, ma rimaneva impressa in eterno nella mente di chi la subiva.
    Alec fu subito pronto a sorreggere il suo parabatai, e Isabelle avvolse nella tonaca il suo corpo bagnato e tremante; William, Ronald e Catherine, invece, rimasero immobili, sconvolti: tutte le loro proteste, il loro sentirsi adulti... era tutto rinchiuso in un angolo del cervello, spazzato via da quanto era appena accaduto nella Sala.
    Non erano adulti, non più: erano spaventati, incapaci di aiutare, impotenti davanti a quel finale della loro avventura.
    Non erano adulti. Erano solo dei bambini in un mondo troppo grande e cattivo.
     
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    Oscurità senza fine


    Nella camera confusionaria regnava il silenzio: nemmeno il respiro dei tre ragazzi era percepibile. Si udiva solamente il mormorio lontano delle voci di Clary e Jace, l'una preoccupata e l'altra stanca.
    Sdraiato tra Ron e Cat, William non aveva pronunciato parola dopo aver lasciato la Sala degli Accordi; giunto a casa, si era ritirato nella sua stanza dove, poco dopo, lo avevano raggiunto i due amici: senza parlare si erano accomodati accanto a lui, condividendo quell'angolo di mondo. Non c'era nulla da dire: erano dei bambini, quel giorno ne avevano avuto la prova.
    Bambini stupidi, per giunta, capaci solo di combinare guai.
    -È stata colpa mia, Will: ho avuto io l'idea di arrampicarci.
    -Io avrei dovuto trovare un altro sistema- aggiunse la ragazza.
    -No, voi non c'entrate- rispose lentamente, cercando conforto nel calore dei loro corpi vicini. -Non mi sono fidato di mio padre, è questa la verità. E ho creato problemi a tutti: Magnus avrebbe dovuto lasciare che mi sfracellassi.
    -Certo, e poi a chi pensi sarebbe toccato ripulire il macello?- scherzò il suo parabatai, dandogli una leggera spallata.
    Ma il coetaneo non raccolse la battuta: vedere suo padre soffrire in quel modo, sapere d'esserne il responsabile, per Will era stato tremendo. Si vantava d'essere grande, pretendeva d'essere trattato come un adulto, ma era un ragazzino infantile.
    -Non devi... - iniziò Ronald, interrotto dall'ingesso di Jace.
    -Devo rimboccarvi le coperte e leggervi una storia?- chiese il Cacciatore con il suo sorrisetto, anche se gli occhi tradivano l'affaticamento di quel giorno.
    -No, noi... stavamo andando- disse Cat, tirandosi a sedere.
    -Restate: quello che devo dire riguarda tutti e tre- continuò, liberando una sedia da un cumulo informe di vestiti, resistendo di fronte al caos assoluto che dominava tra quelle quattro pareti. -Quello che è accaduto oggi non è colpa di nessuno. Io per primo mi sarei comportato come voi, quindi non mi riesce di punirvi o farvi delle prediche. Ma io non ci sarò sempre per salvarvi dal Conclave, perciò dovete essere più prudenti, solo questo.
    -Non avresti dovuto prendere la punizione al mio posto: il Conclave sarebbe stato soddisfatto e non se la sarebbe presa ancora con noi- replicò il figlio. -Ora aspetteranno un passo falso per saltarci addosso.
    -Will, non me ne frega niente se il Conclave non ha avuto ciò che desiderava: se provano ad alzare un dito su uno di voi, li manderò a guardare i fiori dalla parte delle radici- affermò serio, posando lo sguardo su tutti e tre. -E lo stesso farebbe Clary, perché noi siamo una famiglia. E in una famiglia nessuno viene abbandonato o dimenticato.
    Una famiglia.
    La loro famiglia: confusa, rumorosa, folle... ma era la famiglia che amavano e che avrebbero difeso ad ogni costo. Ognuno di loro, con i suoi pregi e i suoi difetti, era importante e fondamentale.
    -Non dimenticatelo mai- concluse. Si alzò e rimise al suo posto la sedia, rivolgendo poi loro un'ultima occhiata. -Ora dormite, Cacciatori: è stata una giornata dura anche per voi- li salutò, uscendo.
    -Tuo padre ha ragione- disse Ronald, cercando nel buio lo sguardo smeraldo del suo parabatai. -È il caso di dormire un po' o domani sarà impossibile uscire in perlustrazione e restare svegli.
    William allungò le braccia, stringendo prima la mano di Ron e poi quella di Catherine: li voleva vicino quella notte, voleva avere loro a cui aggrapparsi in quell'oscurità senza fine. Malgrado le parole di Jace, il suo animo era turbato da una strana inquietudine, come i bambini quando erano convinti che dei mostri abitassero nel loro armadio o si nascondessero negli angoli bui della stanza.
    Aveva paura, ma non sapeva di cosa: era una sensazione che scivolava lenta sotto la sua pelle, gelandogli il sangue nelle vene; paura di qualcosa di inspiegabile, che pareva minacciare la sua vita per il semplice fatto di esistere.
    Stare con i due amici lo rendeva più sicuro, gli dava l'illusione d'essere al sicuro. E, per il momento, gli bastava questo.
    -Buonanotte, ragazzi- sussurrò Catherine.

    La notte a New York non riusciva mai ad essere buia, tra le luci dei grattacieli e il traffico costante che intasava le sue strade. Eppure quella notte pareva oscura anche se si sostava sotto un lampione. I mondani lo percepivano appena come una sorta di disagio che li spingeva ad accelerare il passo e raggiungere in fretta la propria dimora; per i Nascosti era più di una sensazione e si trascinava da diversi giorni.
    Magnus Bane sorseggiò lentamente il suo the caldo, riflettendo sul modo migliore di agire in quella situazione: la sua natura gli suggeriva di prendere Alec, metterlo in valigia e partire verso una lontana località in cui attendere la fine degli eventi. Purtroppo aveva per compagno un Cacciatore e questo significava convivere con i rischi e i pericoli della sua vita. O temere di non vederlo più tornare ogni volta che usciva.
    Ma quello era il suo destino, ciò per cui era nato e lo stregone non gli avrebbe mai chiesto di smettere di dar la caccia ai demoni, perché in fondo amare era anche accettare l'altro in ogni sua sfumatura, in ogni suo aspetto. Incluso restare ad affrontare nuovamente la fine del mondo o qualsiasi altra minaccia stesse per bussare alla soglia della città.
    Perché alcuni destini erano incisi a fuoco sul libro della vita e non potevano essere cambiati, soprattutto quelli avversi. E solo una catastrofe di tale portata poteva spingere il figlio di Lilith a sgusciare fuori dal letto come un ladro per consultare i tarocchi nel cuore della notte.
    Non era una cosa che facesse abitualmente: leggere le carte era una pratica da mondani imbroglioni che spillavano soldi alla gente ingenua. Li aveva visti anche in televisione: uomini e donne conciati in modi inguardabili che davano previsioni più errate di quelle meteorologiche, ingannando le persone e facendosi pagare cifre astronomiche. Non che lui si vendesse a buon mercato, ma i suoi servigi erano autentici, non erano specchietti per le allodole.
    I suoi tarocchi inoltre erano speciali: Clary li aveva disegnati appositamente per lui, ritraendovi persone note, amici e nemici. Per Magnus aveva un significato importante, era tutta la sua vita rinchiusa in un piccolo mondo. Peccato li usasse principalmente per prendersi gioco di Alexander e fargli credere, ad esempio, che se non avessero fatto l'amore per tutto il giorno, terribili sciagure si sarebbero abbattute su di loro.
    Stavolta non c'erano interpretazioni fantasiose da poter inventare: c'erano tutti i segni, anche se aveva preferito ignorarli, e quanto stava accadendo tra i mondani non era che un'ulteriore conferma.
    La Carta degli Amanti era uscita rovesciata: erano promesse non mantenute, inganni e il rinvio di una decisione, di una scelta impellente. La seconda era la Carta della Morte, su cui era raffigurato Jonathan, o Sebastian, o come cavolo lo si voleva chiamare: significava la fine di qualcosa, un momento per distruggere e non per costruire. Sempre che ci fosse ancora qualcosa da distruggere.
    L'ultima era la Carta della Luna: era un invito a riflettere, un annuncio di pericoli imminenti e l'incontro con persone del passato. Solo per un istante aveva collegato tutto questo a Tessa e alla sua minaccia, ma i tarocchi non davano previsioni su cose già avvenute. Inoltre, per quanto arrabbiata e delusa, Magnus era convinto che la giovane fosse incapace di fare del male.
    Quindi qual era la minaccia da cui bisognava guardarsi?
    Forse la misteriosa potenza che stava uccidendo i mondani? O c'era qualcosa di ben più grosso dietro quella faccenda?
    Se i Cacciatori di tutto il mondo non erano riusciti neppure a vederne la causa, pareva logico pensare che fosse quello il pericolo annunciato, però lo stregone non ne era convinto e una vocina nella sua testa gli ripeteva che non era altro che la punta dell'iceberg. C'era altro e molto più pericoloso, un burattinaio che muoveva i fili di ogni cosa con cura, studiando ogni mossa prima di compierla.
    Istintivamente il suo sguardo cadde sull'immagine del vecchio nemico: poteva essere che... ? No, Jonathan Morgenstern era morto. Carbonizzato. Non era una morte da cui si potesse facilmente resuscitare: nemmeno riunendo tutti i demoni era possibile riportare in vita un mucchietto di cenere. Anche perché era impossibile distinguere le ceneri di una persona da quelle di un albero o di qualsiasi altra cosa!
    Eppure... eppure le carte non mentivano, né davano informazioni fuorvianti o casuali: un'ombra si stava allungando su di loro, nutrita dai segreti e dalle cose non dette.
    Terra delle tenebre e dell'ombra di morte, terra di caligine e di disordine, dove la luce è come le tenebre.
    Gli incubi di sangue ed ossa erano tornati e le tenebre si stavano avvicinando più fitte che mai. E non era sicuro che questa volta esistesse una luce tanto forte da diradarle.
    -Magnus... - lo chiamò una voce impastata di sonno. Alec era fermo nel vano della porta con i capelli scuri scompigliati e si stava sfregando gli occhi nel tentativo di tenerli aperti.
    Lo stregone lo fissò con un sorriso dolce, riponendo ogni pensiero tetro: lui era la sua luce e avrebbe fatto di tutto perché continuasse a brillare. Anche in un mondo dove i morti carbonizzati tornavano a camminare sul suolo dei vivi.


    ***



    Potete scaricare la prima parte della ff a questo link
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    Addirittura scaricare?? *_* bene bene
     
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    Bhe sì così potete leggerla più comodamente ^^
     
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    Tutto è immobilità e silenzio
    Parte Seconda



    “In realtà nelle sette stanze si avvicendavano senza posa miriadi di sogni.
    E questi, i sogni, si torcevano qua e la',
    assumendo colore nelle stanze e provocando la sensazione
    che la musica ossessionante dell'orchestra non fosse che l'eco dei loro passi.
    Ed ecco che ancora la pendola d'ebano, nella sala del velluto, batte le ore.
    Ed ecco che ancora per un attimo tutto è immobilità e silenzio,
    tranne la voce dell'orologio.
    I sogni s'irrigidiscono e si raggelano nel punto in cui stavano volteggiando,
    ma gli echi della suoneria muoiono lontani,
    non sono durati che un istante, e un riso sommesso, leggero,
    fluttua e l'insegue mentre essi si dileguano."
    (La maschera della morte rossa, Edgar Allan Poe)



    7
    Passi avanti, passi indietro



    -Perché, gira e rigira, noi ci ritroviamo sempre tra questi vecchi libri polverosi invece che fuori, per le strade, a dare la caccia a quella cosa?- brontolò William. Sepolti dietro pile di volumi, il Cacciatore e i suoi compagni sfogliavano pagine e pagine fitte di descrizioni sulle creature esistite ed esistenti che gli Shadowhunters avevano affrontato dalla notte dei tempi.
    -Ho sempre detto che usate metodi antiquati. Non potreste mettere le informazioni in rete in modo che tutti gli Istituti possano accedervi?- propose Simon. Ma si interruppe nel sentirsi osservato da sguardi confusi e scosse la testa borbottando cose su gente che viveva nel Medioevo.
    -E tu non ti sei preso i rapporti- ribatté Ronald, stirandosi sulla sedia e allungando le braccia verso l'alto. -Mi sembra di leggere sempre lo stesso. Ma Izzy cosa si aspetta che troviamo?
    -Francamente non lo so, Ron. Non sa più nemmeno lei dove sbattere la testa. Forse spera che abbiate una mente più acuta rispetto a quei vecchi bacucchi del Conclave.
    -Su questo non c'è ombra di dubbio, mi pare.
    Ad essere onesti, se gli avessero dato un dollaro ogni volta che Isabelle gli comunicava i suoi pensieri, ora il vampiro si sarebbe ritrovato poverissimo. Non c'era molto di cui parlassero le rare volte in cui lasciava Alicante e si degnava di rientrare a New York, da quello che avrebbe dovuto essere il suo compagno; ma era il Console, aveva delle responsabilità, quindi Simon accettava anche quella situazione per amor suo.
    Improvvisamente si sentì un rumore di porte sbattute, poi qualcuno che correva e la voce concitata di Jace: il Daylighter si alzò, ma William gli posò una mano sul braccio e lo costrinse a sedersi nuovamente. Dopo un istante, infatti, l'Istituto recuperò la sua calma.
    -Un falso allarme- commentò il ragazzo, riprendendo il suo studio sui demoni. -Ultimamente succede almeno una decina di volte al giorno: appena mamma apre bocca, papà pensa sia il momento e pare a razzo. Ormai è questione di poco.
    -Capisco... Jace è sempre stato protettivo nei confronti di Clary.
    -Ha paura che le succeda qualcosa come quando sono nato io. Ho iniziato a far danni ancor prima di venire al mondo: è un record.
    Ronald e Catherin alzarono gli occhi su di lui: era trascorsa una settimana, ma il ricordo della Sala degli Accordi bruciava ancora nel cuore dell'amico e lo spingeva a quell'atteggiamento insolito. William era uno che combatteva tutto con un pugnale tra i denti, una spada per mano e qualche arma di riserva nella cintura: non era uno che si arrendeva, che crollava.
    -Veramente, si comportava così anche quando dovevi nascere tu, Will: ci telefonava ogni ora per avvertirci che Clary stava per partorire- raccontò. -Ed è andato avanti una settimana, finché Isabelle non si è trasferita qui per poterlo frustare ad ogni allarme. Jace è in grado di uccidere cento demoni bendato e con una mano legata dietro la schiena, ma quando si trova a dover affrontare qualcosa su cui non ha alcun potere perde la testa e diventa indifeso, inerme. Tua madre è diversa, lei farebbe qualsiasi follia per lui. E le ha fatte, credimi.
    -Stai annoiando i miei piccoli Cacciatori con il racconto del tuo ultimo torneo di Dungeons and Dragons, Stafford?
    -Simon, Magnus. Simon. Possibile che dopo vent'anni tu non abbia ancora imparato il mio nome?!
    -Non riesce a restarmi in testa, vampiro- si giustificò lo stregone, che in realtà ricordava perfettamente il nome corretto.
    -Comincio a credere che tu non voglia ricordarlo.
    -Come puoi credermi capace di un gesto simile, Silvan?- proseguì teatralmente l'altro, prendendo posto a un capo del tavolo.
    -Basta, mi arrendo- mormorò Simon, passandosi le mani sul viso.
    -Dicci che hai scoperto qualcosa che non sapevamo già, ti prego- lo implorò Cat, che stava portando un'altra decina di libri da consultare. -Tutta questa roba è totalmente inutile e non ci ha portati avanti di un solo passo.
    -In effetti ho qualcosa di nuovo per voi, ma non ho idea di dove porterà- ammise Magnus. -Il Conclave mi ha permesso di dare una sbirciatina all'ultimo cadavere ritrovato. Non che avessero molte alternative, dato che sono con l'acqua alla gola e non sanno cosa fare.
    -E hai capito che demone li ha uccisi- concluse Will, chiudendo di colpo il libro e sollevando una nuvola di polvere.
    -Sono eccezionale, ma non fino a questo punto. Però ho scoperto che sono stati uccisi in seguito a una possessione demoniaca.
    -È una sorta di sifilide demoniaca?
    -La sifilide demoniaca non esiste, Ron- replicò il suo parabatai, intrecciando le mani sotto al mento. -È solo una leggenda.
    -Dovresti ridare un'occhiata alla storia- obbiettò il figlio di Lilith. -La sifilide demoniaca esiste e non la auguro a nessuno, anche se chi se la prende... bhe, se la va a cercare. C'è gente che si è ritrovata trasformata in un verme gigante.
    -Oh, che orrore- commentò Simon, disgustato. -Pensavo succedesse solo in Buffy.
    -Comunque, stavo dicendo... sono morti dopo che un demone si è insinuato nel loro corpo.
    I Cacciatori lo fissarono in attesa di altre spiegazioni: i demoni usavano artigli, zanne, veleno; erano esseri dotati di strumenti per fare a pezzi le loro vittime, non certo per possederle. Quella era un'inutile perdita di tempo. C'erano rituali per evocarli e forse per legarli a certe persone, ma demoni che si appropriavano di corpi umani era una novità.
    -La mia ipotesi è che in giro ci siano spiriti demoniaci, ovvero demoni con la consistenza dell'aria in grado di insinuarsi nei corpi dei mondani. A quale scopo non è ancora chiaro e io stesso non riesco a pensare a una motivazione valida. In ogni caso, non è che un'ipotesi che potrebbe rivelarsi del tutto errata.
    -Quante volte ti sei sbagliato, Magnus?
    -Poche e mai su questi argomenti.

    Ad Alicante, Isabelle stava esponendo la stessa teoria al Conclave, ricevendo in risposta facce perplesse, poco convinte e, nel peggiore dei casi, addormentate. Avrebbe potuto consegnare loro la testa del colpevole su di un piatto d'argento, e avrebbe ottenuto lo stesso risultato.
    La verità era che non la rispettavano, non si fidavano di lei, soprattutto i membri più anziani: il passato e la sua turbolenta adolescenza erano più indelebili di un marchio e la accompagnavano ad ogni passo.
    Se si aggiungeva la sua convivenza con un vampiro, o il fatto che suo fratello fosse gay e frequentasse uno stregone, si arrivava alla conclusione che le uniche persone di cui potesse fidarsi erano quelle che avevano combattuto al suo fianco e che conoscevano il suo valore.
    Una volta di più si chiese se ne valesse la pena, se non fosse più saggio mandare all'inferno tutto e tutti e riprendere la sua vita da Shadowhunter; tornare a New York da Simon e magari pensare seriamente a una famiglia. Ma avrebbe mentito affermando che era quello il suo desiderio.
    In realtà aveva accettato la carica di Console perché era un'ottima scusa per evitare i progetti a lungo termine, per non gettarsi nell'incognita di un legame così serio come una famiglia.
    Amava Simon, quella non era una menzogna: lo amava e non avrebbe potuto immaginare nessun altro al suo fianco, però non era pronta a spingersi più in là. Il semplice pensiero le stringeva la gola e le impediva di respirare.
    Ormai passava più tempo ad Alicante che nella sua città: la loro relazione aveva fatto solo passi indietro e nessuno in avanti. C'erano giornate in cui tornava a casa sperando che lui fosse giunto al limite e avesse deciso di andarsene, di cercare qualcun'altra. Erano i giorni in cui le sue quotidiane battaglie nella Sala degli Accordi erano particolarmente dure e lei arrivava a sera troppo stanca per sopportare ore di sproloqui inutili sull'ultimo videogioco uscito sul mercato.
    In quelle occasioni andava a letto pensando che a Simon occorresse un'altra donna. Magari immortale, magari che non facesse niente tutto il giorno e fosse sempre fresca e riposata, pronta ad andare ad ascoltare quell'accozzaglia di rumori stonati che lui aveva la presunzione di chiamare concerti.
    Una così, sempre bella, sempre felice, sempre disponibile.
    Isabelle non ce la faceva, invece: una vita così le andava bene quand'erano ragazzi, ma ora erano cresciuti e il fatto che il vampiro fosse immortale non giustificava il suo atteggiamento infantile. Poteva avere l'aspetto di un sedicenne, ma gli anni erano passati ed era ora di svegliarsi, di essere un uomo, di essere l'uomo di cui lei aveva bisogno.
    Non era questione di immortalità come nel caso di Alec: il problema era che Izzy si era scoperta fidanzata con Peter Pan, con qualcuno che aveva fermato l'orologio e non strappava le pagine dal calendario. Come poteva pensare a dei bambini se era già un bambino lui?
    Così si tratteneva nella Città di Vetro più del necessario, tirando la corda nella speranza di spezzarla.
    -In conclusione, ho comunicato ai Cacciatori di prestare la massima attenzione: siamo in stato di allarme generale e ogni minimo dettaglio può aiutarci a bloccare questa strage. Se avete altre proposte, siamo qui per ascoltarle, altrimenti la riunione è sciolta.
    Nessuno parlò, com'era prevedibile: in caso di fallimento avrebbero scaricato addosso a lei tutta la responsabilità e l'avrebbero sollevata dall'incarico. In fondo era il capitano che affondava con la sua barca, non il suo meschino ed ipocrita equipaggio.
    La donna sospirò, incamminandosi verso le sue stanze con l'unico desiderio di un bagno caldo e di buone notizie, su qualsiasi argomento. La migliore sarebbe stata la nascita della sua nipotina, ma andava bene anche altro, purché fossero buone notizie.
    -Izzy, aspetta un attimo.
    -Aline, cosa c'è?- chiese, voltandosi verso l'amica.
    -Vorrei che tu mi facessi un favore.

    La città bruciava.
    Lingue di fuoco si levavano alte, illuminando una notte oscura. Attorno a lui si susseguivano urla e versi di creature che non aveva mai udito, portati dal vento e dal rumore di una battaglia.
    William era confuso e soprattutto disarmato; non riconosceva quegli edifici in fiamme e non sapeva da cosa dovesse difendersi.
    Poi qualcosa lo colpì alle spalle e vide una lama nera spuntargli dal petto, grondante il suo sangue. Cadde a terra, riverso nel suo sangue che lentamente diventava infinito, diventava un lago in cui precipitò.
    Sempre più a fondo...
    Un sangue denso, scuro, dal sapore acre che bruciava la gola come un acido.


    William si svegliò di colpo, sudato e agitato: era stato un incubo, solo un incubo. Respirò profondamente, cercando di calmarsi e di recuperare un battito cardiaco normale: in fondo non era stato altro che un brutto sogno e niente di più.
    Però... però gli era sembrato dannatamente reale e sulla lingua avvertiva ancora il bruciore di quel sangue.
     
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    Il sole era sorto da poco quando scoprì una figura impegnata ad allenarsi nella solitudine di Central Park. L'incubo di quella notte aveva lasciato addosso a William la spiacevole sensazione d'essere sporco e ogni tanto si tastava il petto aspettandosi di trovarvi qualche segno di una ferita. Ma non c'era nulla oltre alle cicatrici di vecchi marchi, nessuna traccia di quanto era avvenuto nel suo sogno.
    Eppure si sentiva nervoso ed inquieto: non riusciva a cancellare quelle immagini e ciò che aveva provato. La città in fiamme... a mente lucida riusciva a darle un nome: era Alicante, l'indistruttibile città dei Cacciatori. Ed era tutto così vivido...
    Ci fu un fruscio alle sue spalle e, un secondo dopo, una foglia si ritrovò inchiodata ad un tronco da un pugnale decorato con un motivo di uccelli in volo.
    -Ottimi riflessi- commentò la Regina del Popolo Fatato con un sorriso falso e studiato.
    -Grazie, ma non penso tu sia qui per elogiarmi o per seguire il mio allenamento.
    William non la temeva, pur conoscendo i suoi poteri. Non la rispettava nemmeno, anzi, la disprezzava apertamente. Vampiri e licantropi erano abbastanza affidabili o, almeno, sapevi cosa aspettarti da loro; i figli di Lilith non si schieravano mai, nonostante gli Accordi. Ma le fate erano un altro discorso: le fate potevano sorriderti, stringerti la mano e giurarti fedeltà mentre il tuo nemico ti pugnalava alla schiena. Le fate si alleavano con chiunque, garantendosi la certezza d'essere sempre dalla parte dei vincitori: stringevano e rompevano accordi praticamente in contemporanea e contare su di loro non era certo salutare.
    A meno che non si andasse in cerca di una morte orribile, ovviamente.
    Perché le fate erano meravigliose, ma potevano indurre alla pazzia se solo lo desideravano; per un loro capriccio potevano costringere una persona a danzare fino alla morte. Se scoprivano ciò che desideravi con tutto il cuore, eri condannato.
    -Se il tuo complimento era un patetico tentativo di comprare un favore, invece, hai fallito.
    -La tua impudenza supera quella dei tuoi genitori.
    -Sono stati degli eccellenti maestri, in effetti. Inoltre ti ricordo che non sei nel tuo territorio, ma in quello degli Shadowhunters, quindi ti conviene restare buona. Ho ottimi riflessi, l'hai detto tu stessa.
    Il sorriso non svanì dal volto etereo della fata, anzi si estese e acquistò una sfumatura diabolica: un pessimo segno che portò il giovane a stringere la presa sulle armi. Poteva presentarsi nella sua forma migliore e vestirsi d'oro e d'argento, ma lui sapeva che mostro si nascondesse sotto il travestimento.
    -Speravo avessi più buon senso rispetto a tua madre e capissi che non è saggio negare qualcosa a me.
    -Non sono un tuo suddito, non ho debiti nei tuoi confronti e, qualsiasi cosa tu possa offrirmi, ha un prezzo troppo alto. Puoi trasformarmi in quello che ti pare, tanto è solo un trucco: è tutto nella mente- ribatté. -Fai leva sulle paure e sui desideri finché le tue vittime non cedono. Ma proprio perché ho buon senso so che le tue tattiche non funzionano con me.
    -Sei scaltro per essere uno Shadowhunter. Quasi quanto una fata: non a caso condividiamo lo stesso sangue.
    -Solo in parte. In noi nulla ha origine dall'Inferno- precisò.
    -Sicuramente vale per tutti gli altri, ma non per te. Il tuo sangue non è angelico e puro come credi.
    -Non possiamo essere tutti angeli come Raziel, malgrado ci abbia donato il suo sangue.
    La Regina rise, un suono fastidioso e malevolo quanto un gesso sulla lavagna, un suono capace di far rizzare i peli sulla nuca perché era l'annuncio di qualcosa di terrificante.
    -I miei favori non saranno ad un prezzo che ritieni accettabile, ma nemmeno quelli che si aggiudicò tuo nonno sono privi di conseguenze. Ci sono peccati senza perdono, Cacciatore.
    -Ma cosa... - iniziò William, arretrando di un passo.
    -Will- lo chiamò Ronald, giungendo nel parco.
    Il ragazzo si volse un istante verso la voce dell'amico e, quando tornò a guardare la Regina, scoprì che era già svanita: del loro dialogo non restava altro che la foglia inchiodata all'albero.
    -Sei mattiniero- continuò il suo parabatai, arrivandogli accanto. -Non hai nemmeno fatto colazione.
    -Non riuscivo a dormire, così sono uscito ad allenarmi- spiegò semplicemente, evitando di nominare il suo incubo.
    -Va tutto bene?- Ronald intuiva che c'era dell'altro dietro il suo comportamento e che doveva essere accaduto qualcosa nel parco: gli uccelli non cantavano, tutto era immerso nel silenzio. Uno strano silenzio.
    -Io... io sto bene. Sarà mancanza di zuccheri- minimizzò, riponendo le sue armi nella cintura e recuperando il pugnale di famiglia. -Mi avete lasciato qualcosa da mangiare?
    -Mmm... forse qualche briciola è rimasta.

    Magnus Bane era alle prese con un altro tipo di problema: chiuso nel suo appartamento, aveva era chino sul tavolo, tra vecchi libri e mucchi di fogli su cui aveva scarabocchiato una serie di appunti. La causa di tanto lavoro era l'oggetto che Isabelle gli aveva chiesto di studiare: era stato ritrovato accanto ad una delle vittime e non ne restavano che pochi frammenti.
    Ad una prima occhiata non gli erano sembrati altro che pezzi di vetro senza importanza: aveva pensato che appartenessero a una bottiglia o a qualche fanale d'auto andato rotto in un incidente. Poi aveva notato dei piccoli segni incisi sulla superficie che avevano attirato la sua attenzione.
    Armato di lente d'ingrandimento, lo stregone li aveva copiati fedelmente, arrivando a capire che si trattava di un'iscrizione e che quei frammenti erano forse la chiave per comprendere quanto stava accadendo e riuscire così a fermarlo.
    Purtroppo, nonostante le ore di ricerca, era stato in grado di tradurne solo una piccola parte, quanto bastava per scoprire che si trattava di una sorta d'incantesimo sigillante, usato solitamente per rinchiudere i demoni in qualcosa.
    Alcuni di quei simboli, infatti, li aveva visti spesso sulle Pyxis, un tempo molto diffuse tra Cacciatori e non. Una pratica che, per fortuna, era andata in disuso con il trascorrere dei secoli e che Magnus non aveva mai compreso né approvato: che razza di mente malata si teneva in casa un demone sottovuoto? Non era certo una confezione di sottaceti o un simpatico soprammobile con cui far morire di invidia amici e ospiti: erano demoni e, anche se in scatola, restavano pericolosi.
    Già in condizioni normali non erano tra le creature più amabili e piacevoli, ma quelli che restavano rinchiusi per anni erano anche peggio: una volta liberi non si sedevano sicuramente a prendere il the e a fare salotto, scambiandosi gli ultimi pettegolezzi. I più svegli si sbrigavano a scappare e a riprendersi la libertà; quelli un po' meno furbi si mettevano a lottare contro gli Shadowhunters che li avevano imprigionati e facevano una brutta fine.
    Ma in nessun caso si impossessavano dei corpi dei mondani per ucciderli. Non si era mai sentito niente del genere.
    Si passò una mano sul viso, sfregandosi gli occhi stanchi e gettando uno sguardo all'orologio: era già tardi ed Alec non era ancora rientrato da Alicante. A distanza di una settimana, il Conclave aveva organizzato una nuova riunione nella speranza che ci fossero novità o fosse emerso qualche minuscolo risultato dalle ricerche.
    E alla fine tutti avrebbero insultato tutti come al solito. Ormai era diventata una tradizione.
    Se si fosse conclusa in un altro modo, i partecipanti non avrebbero capito che era terminata e sarebbero rimasti lì ad aspettare di potersene andare.
    Una firma su un pezzo di carta non cancellava odi secolari.
    Lui non aveva mai preso parte a quelle gare di insulti, perché non aveva nulla contro gli altri: non nutriva alcuna simpatia per il Popolo Fatato (ma chi ne aveva?) e alcuni dei Cacciatori non erano in cima alla lista dei suoi amici del cuore, ma in generale non aveva mai avuto dei veri contrasti.
    Il fatto che molti, tra Shadowhunters e Nascosti, gli dovessero dei favori o dei soldi, contribuivano a renderlo una figura inattaccabile: chi lo criticava aveva l'intelligenza di farlo fuori dalla portata delle sue orecchie. E la stupidità di farlo vicino a quelle di Alec.
    Il suo compagno sarebbe tornato di pessimo umore dopo aver trascorso tutto quel tempo a fare da bersaglio ai commenti sull'assenza di Magnus. Gli dispiaceva per lui, ma quando si aveva per fidanzato il meglio degli stregoni era normale essere sulla bocca di tutti: essere così potenti e fantastici poteva diventare una croce.
    Diede ancora un'occhiata al suo lavoro, poi sbadigliò e decise di aver fatto abbastanza: la mattina dopo si sarebbe alzato presto e avrebbe ripreso da dove si era interrotto. Ora si meritava qualche ora di sonno: per una volta avrebbe dormito senza doversi preoccupare per Alexander, senza svegliarsi ogni cinque minuti nella speranza che fosse rientrato dal suo giro di perlustrazione. Finalmente avrebbe avuto un riposo senza interruzioni.

    -Stai bene?
    -Ehi, non vorrai prendere il posto di tuo padre, spero- rispose Clary con tono ironico. -Ho appena iniziato a respirare e non intendo essere soffocata un'altra volta con centinaia di domande.
    William le sorrise, sedendosi accanto a lei e lasciandosi avvolgere dal suo caldo abbraccio: la chiacchierata con la Regina l'aveva messo ancor più in agitazione, così aveva fatto capolino nella camera della madre, sperando di mettere a tacere ogni dubbio.
    -C'è qualcosa che ti turba, tesoro?
    -Non ti accadrà niente, vero?- Sapeva che era una domanda infantile, ma all'improvviso aveva sentito il bisogno di porla e di sentirsi rispondere che sarebbe andato tutto per il meglio. Il suo incubo, le parole sibilline della fata... nulla era così importante di fronte all'incognita del futuro.
    -Will... - sospirò la donna, accarezzandogli i capelli rossi. -Le complicazioni che ho avuto e i rischi che ho corso... bhe, c'è una ragione. Quando sono rimasta incinta, io e tuo padre eravamo felicissimi. Ma purtroppo non fu una gravidanza tranquilla perché iniziammo quasi subito ad avere paura.
    -Paura di cosa, mamma? Di non essere pronti a fare i genitori?
    -Eravamo giovani e, certo, avevamo un po' paura di questa nuova vita, ma soprattutto avevamo paura del Conclave. Temevamo che ti portassero via da noi per farti chissà cosa.
    -Che cosa poteva volere il Conclave da me?- domandò, confuso. Era solo uno Shadowhunter come tanti altri, forse più in gamba di altri, ma non certo così incredibile.
    -Io e Jace abbiamo più sangue d'angelo di qualunque altro Nephilim ed il Conclave era ansioso di scoprire come sarebbe stato nostro figlio. Non ci davano tregua, il Console veniva qui almeno una volta a settimana per informarsi e noi eravamo sempre più nervosi e preoccupati- proseguì, ricordando quei giorni terribili in cui non aveva fatto alto che litigare con il compagno per poi rifugiarsi tra le sue braccia. -Finché... finché non prendemmo la decisione di fuggire. Lasciammo l'Istituto, aiutati da Magnus e dai Lightwood, tentando di mettere più strada possibile tra noi e il Conclave. Ma non durò molto.
    -Vuoi dire che riuscirono a trovarvi?
    -No, tu eri pronto a venire al mondo. Ero terrorizzata, non riuscivo a calmare tuo padre che non sapeva cosa fare... e chiedemmo aiuto alle nostre famiglie. Purtroppo tutto quello che avevo passato ebbe delle conseguenza sul parto e su di me, ma non mi sono mai pentita di niente.
    -Ma poi?- volle sapere il figlio, curioso.
    -Il Console non era contento della nostra bravata, affermò anche che non eravamo in grado di accudire un bambino... Jace gli saltò al collo e venne rinchiuso nella Città Silente, Isabelle ed Alec si presero cura di me e di te, mentre Maryse affrontò il Conclave.
    La signora Lightwood aveva preso in mano la situazione e parlato ai membri riuniti, a quegli uomini e a quelle donne che prima d'essere Cacciatori erano padri e madri; aveva spiegato tutta la vicenda, esposto il dolore di due genitori di fronte al pericolo di vedersi strappato il proprio figlio. Nessuno aveva avuto il coraggio di puntare il dito contro di loro ed ogni cosa si era conclusa per il meglio.
    William era stato comunque sottoposto ad un controllo ed era risultato che in lui non c'era una quantità maggiore di sangue d'angelo né, per il momento, caratteristiche o doni particolari: era un Cacciatore nella norma, che il duro e costante allenamento aveva reso uno dei migliori.
    -Quindi non c'è niente di speciale in me.
    -Tu sei speciale per tutti noi, Will- ribatté Clary, baciandolo sulla fronte. -E non ha nulla a che vedere con il sangue d'angelo.
    -Mamma, secondo te... esistono dei peccati senza perdono? Come quelli di Valentine, ad esempio.
    La donna restò in silenzio, riflettendo su quella domanda. Suo padre aveva commesso azioni orribili, aveva ucciso il padre di Jace, cresciuto i suoi figli con una rigida disciplina, rischiato di distruggere Alicante e tutto il loro mondo... Ma non aveva agito per crudeltà: era convinto di inseguire uno scopo nobile e giusto.
    -Nessuno può giudicare i peccati di una persona, Will. Nemmeno l'Angelo- rispose infine. -Valentine credeva di fare il bene, credeva d'essere dalla parte della ragione.
    -Ma ha ucciso papà, ha ucciso suo figlio...
    -L'ho visto piangere sul cadavere di Jace. È difficile da capire, tesoro, me ne rendo conto: ci ho messo anch'io del tempo a comprenderlo- continuò. -Ma se mi stai chiedendo se io l'ho perdonato... bhe, gli sono solo grata perché senza di lui non ci sarei io. Nient'altro. Per il resto, se Dio esiste, è l'unico che può giudicarci.
    William annuì, confuso quanto prima: stava per dire a sua madre dell'incontro con la Regina quando la sentì sussultare ed emettere un lieve gemito.
    -Mamma?
     
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    William prese il telefono con le mani che gli tremavano per l'agitazione: più di una volta, la cornetta rischiò di sfuggirgli mentre componeva il numero e aspettava, implorando l'Angelo che qualcuno rispondesse.
    -Ti prego... ti prego... - ripeté, mentre nel corridoio si susseguivano i passi di Ron e di Cat. -E dai...
    Al ventesimo squillo, forse cedendo all'insistenza del Cacciatore, una voce assonnata accolse le sue preghiere.
    -Pronto... ?
    -Magnus, mia madre! Devi venire subito!
    -Will... sono le quattro del mattino- mormorò lo stregone, che aveva afferrato solo poche sillabe confuse. -Torna a dormire... Ne riparliamo domani.
    -Magnus! Sta per nascere mia sorella!
    -E perché non l'hai detto subito?- ribatté, svegliandosi di colpo.
    -È mezz'ora che te lo sto ripetendo- replicò, esasperato.
    -Mando un messaggio ad Alec e arrivo. Tu non farti prendere dal panico.
    -Sì... va bene- concluse. Come se fosse facile: suo padre era stato in mezzo ai piedi per tutti i nove mesi, stressando sua madre, ed ora che avrebbe dovuto esserci e starle accanto, aveva avuto l'idea geniale di trattenersi ad Alicante.
    A volte il destino aveva un umorismo tutto suo.

    I tre giovani Cacciatori erano nel corridoio e aspettavano impazienti: avevano camminato avanti e indietro, si erano seduti sul pavimento, si erano rialzati... Quell'attesa snervante li stava uccidendo ed erano trascorsi solo una ventina di minuti da quando Magnus Bane era entrato nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandoli lì con il ricordo del suo pigiama verde acido.
    Nell'Istituto non si sentiva volare una mosca e i ragazzi si scambiavano occhiate sempre più preoccupate: si fidavano ciecamente dello stregone, ma non ci stava mettendo un po' troppo? Si era forse trattato di un altro falso allarme? Eppure Clary era sembrata sicura quando aveva chiesto loro di chiamare Magnus perché era il momento ed era troppo tardi per l'ospedale.
    -Cat, secondo te è tutto a posto?- domandò Will.
    -Perché lo chiedi a me, scusa? Non ho ancora avuto dei figli: come faccio a saperlo?!
    -Sei una donna, di sicuro ne sai più di noi su certi argomenti.
    -Will, è in buone mani- intervenne il suo parabatai, mettendosi al suo fianco. -Cerchiamo di restare calmi: ci sarà già tuo padre ad essere in ansia per tutti.
    -Sì...
    In quell'istante un vagito si levò dalla camera e risuonò per i corridoi silenziosi.

    -Se non avessi conosciuto gli avi di Jace, penserei che tu ed Alec dobbiate spiegare qualcosa- commentò allegramente, mettendole tra le braccia una bimba dalla chioma nera.
    -Magnus, non puoi credere davvero... - iniziò, sorpresa. Alec era un uomo bellissimo, ma Clary non l'aveva mai guardato in quel senso.
    -Sto scherzando, biscottino- ribatté lo stregone, sedendosi sul bordo del letto. - Inoltre ha il marchio degli Herondale: non può che essere figlia di Jace. Ed è bellissima.
    Clarissa osservò la piccola con un sorriso dolce, sfiorandole piano il contorno del viso e poi i piccoli pugnetti che teneva stretti al corpicino: era meravigliosa, semplicemente questo. Sentì un'ondata d'amore invaderle il petto e le posò un lieve bacio sulla testolina piena di capelli scuri, voltandosi poi verso Magnus.
    -Grazie.
    -E di cosa? Non sapevi che sono anche un perfetto ginecologo?
    -Di essere qui.
    L'altro la fissò, cercando una risposta adatta e non trovandola: era forse la prima volta che restava senza parole, ma la scena che aveva di fronte era tanto dolce che non gli importò più di tanto.
    -Clary!
    Jace si precipitò nella stanza come un tornado, bloccandosi poi sulla porta con una mano sulla maniglia e la bocca spalancata: quella cosina in braccio a sua moglie, quell'esserino accanto all'unica donna della sua vita...
    -Sei arrivato, finalmente- commentò lo stregone, entrando nel campo visivo del Cacciatore per un istante e imprimendosi nella sua mente come un'indistinta macchia verde acido.
    Lo Shadowhunter scosse la testa e avanzò verso Clary, lo sguardo concentrato solo su di lei; si inginocchiò accanto al letto e i suoi occhi incontrarono il volto di sua figlia.
    -Allora? Non dici niente?- domandò la donna.
    Jace non stava mai in silenzio, amava parlare e non riusciva a tacere per più di due secondi consecutivi. Ma in quell'attimo aveva la gola più arida di un deserto e ogni parola era fuggita dalle sue labbra.
    -Jace?- lo chiamò preoccupata.
    Anche Magnus, che stava per lasciare la stanza e concedere loro un po' d'intimità, li guardò con una punta d'ansia: che pensasse davvero che lei ed Alec... ?
    -Io... ho perso il momento più importante della sua vita- pronunciò infine, sciogliendo la tensione che si era creata nella camera.
    -Amore mio... - mormorò la moglie, sollevata. Gli carezzò la guancia e gli sorrise, un sorriso così dolce che Jace si sentì turbato nel profondo. Sorrise di rimando, e Maguns pensò che nella sua espressione c'era una fiducia che non aveva mai visto su un volto umano. Non di recente, almeno.
    Rassicurato, il figlio di Lilith uscì, sicuro che fuori dalla stanza avrebbe trovato altre persone da dover tranquillizzare. E forse poteva anche giocare un piccolo scherzo.
    Jace nel frattempo si era accomodato al fianco di Clary, passandole un braccio attorno alle spalle e baciandole la testa: era felice come poche volte gli era capitato di essere, felice ed entusiasta. Era di nuovo padre ed era già innamorato della sua bambina.
    -Benvenuta in questo mondo, Cecily Herondale- sussurrò, avvolgendo lei e la moglie nel cerchio protettivo delle sue braccia.

    -Zio, allora cosa è saltato fuori dalla riunione? Ci sono novità?
    -No, nessuna- rispose Alec, che attendeva nel corridoio con i ragazzi, mangiandosi le unghie fino alla carne per il nervosismo. -Magnus sta esaminando un oggetto che è stato ritrovato nei pressi di un cadavere, ma è presto per poter stabilire se ha qualche legame con le vittime e le loro morti.
    -Insomma si aspetta finché non ci saranno più mondani.
    -Qualcosa del genere, Will- fu costretto ad ammettere. O finché il Conclave non avesse iniziato a ragionare, cosa probabile quanto la colonizzazione di Marte entro l'anno.
    Quella sera Isabelle aveva annunciato a tutti la causa di quelle morti, suscitando l'ilarità generale e una pioggia di commenti che era scesa su Alec come una frana di pietre. L'età cominciava a farsi sentire, avevano detto alcuni. La possessione demoniaca aveva come conseguenza la nascita degli stregoni e Magnus si confondeva con l'idillio tra i suoi genitori, avevano detto altri.
    E questi erano tra i più gentili.
    Sua sorella aveva atteso paziente che tutti tacessero, poi aveva affermato che nessun altro nella sala aveva tirato fuori un'idea intelligente da quando era cominciata quella storia; il figlio di Lilith era stato l'unico ad alzare il suo vecchio sedere mezzosangue per fare qualcosa e aiutare le indagini. Ma i commenti non si erano spenti: erano proseguiti, anche se ridotti a sussurri scambiati alle spalle del Cacciatore.
    Aveva cercato di ignorarli, di convincersi che non fossero altro che acqua e lasciarseli scivolare addosso, ma era stato inutile: quell'acqua era peggio dell'icore demoniaco e bruciava pur senza lasciare segni sulla pelle.
    Dopo era arrivato un messaggio di fuoco indirizzato a lui e il cuore aveva smesso di battere: persino le voci insistenti e maligne erano svanite di fronte alle poche parole contenute nello scritto.
    “Muoviti e prega il tuo Angelo” diceva. Abbastanza perché Alec capisse e pregasse, implorandolo ininterrottamente dal momento in cui aveva messo piede nell'Istituto, lasciando che Jace si precipitasse dalla moglie. Pregava Raziel che i suoi incubi non divenissero realtà, perché altrimenti l'intero esercito angelico non sarebbe bastato a placare la furia del suo parabatai. E nessun luogo sarebbe stato sicuro.
    Tra la salvezza e la dannazione c'era quella bambina e il sangue che le scorreva nelle vene.
    Tra la vita e la morte c'era ancora Valentine e i suoi folli esperimenti da dottor Frankenstein.
    E a dividerlo dal verdetto, solo una porta chiusa che pian piano si stava aprendo; il suo compagno uscì con un'espressione indecifrabile.
    -Stanno bene?- chiese, travolto poi dalle domande degli altri.
    -È bella?
    -Possiamo vederla?
    -Mi somiglia?
    -Sì, Alec, stanno bene. E Sì, Cat, è bella. Ron, penso che tra un attimo potrete entrare senza rischiare il diabete. E Will... - S'interruppe, guardando il giovane: William lo fissava con un sorriso e gli occhi grandi, come un bimbo in attesa di un regalo. -No, non ti somiglia affatto.
    -Vuoi dire che ha preso da papà?
    -Nemmeno quello. Somiglia ad Alec.
    I ragazzi si voltarono all'unisono verso Alexander, con espressioni che andavano dallo stupito all'allibito fino all'assolutamente sconvolto.
    -Zio Alec, come hai potuto? Tradire la fiducia di mio padre, del tuo parabatai...
    -L'Angelo ti farà delle cose orrende- continuò Cat. -Verrai maledetto, fatto a pezzi...
    -E le tue ceneri saranno sparse nelle dimensioni demoniache.
    -Oh, sembra davvero orrendo- commentò Ron con aria sofferente. -Spero che ne valesse la pena, Alec.
    -Ehi ehi ehi!- esclamò il Cacciatore, portando le mani avanti. -Cos'è questa storia?! Io non ho fatto niente, posso giurarlo sull'Angelo! Magnus, che razza di voci metti in giro?!- urlò paonazzo.
    Lo stregone scoppiò a ridere, guadagnandosi un'occhiata furiosa da parte del compagno.
    -Ragazzi, siete davvero divertenti. Jace non ha un palco di corna e sulla fedeltà di Alec non ho il minimo dubbio- spiegò, calmandosi. -Un tuo antenato, Will, aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri proprio come Alec. Infatti c'è un po' di sangue Herondale nei Lightwood.
    -Quindi mia sorella ha ereditato l'aspetto dei precedenti Herondale?
    -Esatto. La prossima volta che vieni da noi ti mostrerò una foto che ritrae proprio quella persona. Ora è il caso di avvisare i Fratelli Silenti: dovranno preparare il rituale di protezione per la piccola.
    -Ci penso io- decise Alec, intenzionato a sbrigare al più presto quella formalità. Una volta apposti gli incantesimi, avrebbe potuto dormire di nuovo tranquillo e preoccuparsi soltanto delle candeline sulla torta di compleanno del suo amato. -Dirò loro di fare il prima possibile- assicurò, allontanandosi diretto alla Città Silente. Sapeva che non era gentile nei confronti di Jace, che certo ci teneva alla sua presenza in quel momento tanto importante, ma ci sarebbe stato tempo per coccolare e viziare la nipotina: ora doveva preoccuparsi di ritrovare la quiete e gettare in un angolo ogni angoscia.
    -Poteva anche aspettare cinque minuti- commentò William, inarcando un sopracciglio: quella di suo zio pareva una fuga e anche piuttosto precipitosa. -A mio padre dispiacerà.
    -Tornerà prima di quanto pensi. Inoltre, sai anche tu quanto sia importante questo rituale, no? Prima lo si fa e prima saremo tutti certi che la piccola è al sicuro- rispose Magnus, tentando di spostare altrove l'argomento. -Ora, piccoli Shadohunters, che ne dite di conoscere il nuovo acquisto dell'Istituto?
     
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    hai visto anche tu l'albero genialogico su clocwork princess?
     
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    Sì, certamente ^^ Me lo sono spoilerato immediatamente...
     
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    eheh io l'ho preso su Amazon
     
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  14. •Himeno•
     
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    Io devo ancora prendere il libro in italiano e appena ho visto la copertina mi ha fatto schifo =_= tanto per cambiare. C'è l'albero genealogico sull'edizione Mondadori?

    Se non fosse che Alec sta con quel figaccione di Magnus e che è un tipo fedele (ovvio, nessuno fa le corna a Magnus Bane XDXD) avrei pensato anch'io che la piccola fosse sua. Eh i bellissimi miracoli della genetica...
     
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    Chi mai farebbe le corna a Magnus?! O.O
     
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